Questo podcast come un’altro sul carcere di San Vittore sono nati dopo che ho iniziato un progetto con il mio studio, altri 5 studi di architettura italiani, Fabio Novembre, Schifton, e Triennale di Milano.
Il progetto ha l’obiettivo di ridare un pò bellezza ad alcuni spazi della casa circondariale Milanese.
Ma partiamo da una prospettiva sullo stato della progettazione attuale delle carceri.
Cosa rappresenta oggi il progetto di una struttura detentiva? Quale ruolo ha una struttura detentiva all’interno della società?
L’architettura dello spazio carcerario deve essere considerata come parte essenziale della pena o piuttosto la progettazione deve mirare ad un “buon abitare”, dunque a rendere, in termini che solo superficialmente possono apparire paradossali, più confortevole lo spazio abitato?
Molto spesso, nel carcere il concetto di libertà, infatti, viene associato a quello di spazio, ritenendo che la riduzione della libertà personale, si ottenga attraverso la riduzione dello spazio all’interno del quale il detenuto è autorizzato a vivere, muoversi ed instaurare relazioni.
Lo spazio della reclusione riflette le concezioni di carcerazione e pena proprie del tempo di costruzione della struttura detentiva.
Tali visioni però sono mutate nel tempo; la progettazione carceraria dovrebbe far riferimento a questi cambiamenti ed essere in qualche modo coerente con la maturità sociale presente.
La maggior parte degli istituti penitenziari in Italia sono stati concepiti più di 50 anni fa per una detenzione svolta quasi interamente all’interno delle celle, privi di spazi adibiti ad attività di socializzazione tra gli stessi detenuti (Ibid.).
Per molti anni la politica penitenziaria si è interessata di edilizia detentiva, ma non di architettura. Quest’ultima contempla una serie di riflessioni sul concetto di “qualità” che raramente sono state tenute in considerazione.
Spesso questo tipo di approccio ha portato alla realizzazione di ambienti poco salubri e nei quali i condannati sono costretti ad accalcarsi in quanto troppo numerosi (Ibid.). Un trattamento detentivo di questo tipo, oltre che con le Sentenze Europee, appare in contrasto anche con l’articolo 27 della Costituzione Italiana che dichiara “[…] Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato […]” (Senato della Repubblica, 1947).
L’obiettivo del carcere, dunque, dovrebbe essere quello di rieducare il condannato così da poterlo reinserire in società.
Osservando il tasso di recidiva, ossia la tendenza degli ex-detenuti a commettere nuovamente un crimine una volta usciti di prigione, sembra però che il sistema penitenziario italiano non raggiunga questo obiettivo: in uno studio effettuato nel 2007 dal Direttore dell’Osservatorio delle misure alternative del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria è emerso che la percentuale dei recidivi fra coloro che avevano scontato una pena in carcere era del 68,45%, mentre nel caso di coloro affidati a misure alternative, quali la semi-libertà, la detenzione domiciliare o l’affidamento in prova al servizio sociale, la percentuale scendeva al 19%. Inoltre, è interessante notare come, anche nel caso di condannati a pena detentiva, le probabilità di tornare a delinquere si abbassano notevolmente se durante la loro permanenza in carcere avranno avuto la possibilità di accedere a corsi di istruzione ed alla possibilità di lavorare, ovvero di svolgere attività socializzanti e responsabilizzanti (Brioschi, 2017; Ronco, 2017).
Ancora più aspra appare essere la situazione delle carceri statunitensi, le quali rilasciando più di 600.000 persone ogni anno, ma registrano un’altissima probabilità di recidiva: entro 3 anni dal rilascio, 2 persone su 3 vengono nuovamente arrestate e tra questi oltre il 50% viene nuovamente incarcerato.
Il motivo appare essere una grande difficoltà dei detenuti al momento del reinserimento nella società. Una società a cui essi non sono più abituati a causa dello scollamento tra l’ambiente carcerario e ciò che vi è all’esterno.
Emergono così problemi con le famiglie, con gli alloggi e con i luoghi di lavoro, nonché plurime difficoltà nell’ottenere un impiego a causa dell’assenza di supporto da parte delle istituzioni e del diffuso pregiudizio dei datori di lavoro (HealtyPeople.gov, 2020).
Probabilità di recidiva così elevate sono l’immagine di un sistema di reclusione non efficiente, in cui l’intento punitivo tende ad annichilire e deresponsabilizzare il detenuto, rendendo vano l’aspetto rieducativo insito nella struttura carceraria.
Ad oggi, tuttavia, vi sono alcuni paesi in cui si promuove un’evoluzione del paradigma concettuale associato al modello di detenzione: non più finalizzato ad una privazione di libertà coincidente con una stringente limitazione dello spazio, bensì volto a far sperimentare ed apprezzare un corretto modo di stare in comunità, fornendo strumenti di valorizzazione quali educazione e introduzione ad attività lavorative, in modo da preparare il detenuto al reinserimento in società.
Ad essersi particolarmente impegnati in tale direzione sono i paesi Scandinavi ed in particolare la Norvegia che nel 2010 ha promosso la realizzazione del carcere di massima sicurezza ad Halden, definito dai media “La prigione più umana del mondo” (Gentleman, 2012). L’istituto è stato progettato da HLM Architects e C.F. Møller Architects e inaugurato nel Marzo 2010 con capienza massima di 252 detenuti al costo di 1,3 miliardi di corone norvegesi (160 milioni di euro). L’istituto penitenziario è da subito divenuta l’orgoglio del sistema giudiziario norvegese, in cui l’attenzione si concentra sulla riabilitazione piuttosto che sulla punizione: la struttura è organizzata sul modello del campus, divisa in piccoli padiglioni, in cui gli spazi di abitazione sono inframezzati da ampie aree verdi. In una struttura di questo tipo i detenuti hanno una libertà di movimento notevolmente maggiore rispetto alle tradizionali case circondariali a corte, a pettine o nate sul modello del panottico (Haubursin, 2019); inoltre la configurazione del carcere di Halden favorisce il contatto tra i detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria, promuovendo lo sviluppo di un rapporto di fiducia e reciproco rispetto, generando, in tal modo, un circolo virtuoso nella tutela della sicurezza sia dei detenuti, sia degli agenti (Cobiella, 2019). Nessuna guardia gira armata in quanto non vi sono esigenze di sicurezza tali da necessitare mezzi di questo tipo e non sono quasi del tutto avvenuti episodi violenti o tentativi di evasione. Il livello di sicurezza raggiunto è tale che, malgrado la netta prevalenza di detenuti di sesso maschile, il personale di sicurezza è composto per il 40% da donne (Hadavi, 2016). In Norvegia la preparazione al mestiere dell’agente di sicurezza carcerario prevede la laurea in un apposito corso universitario focalizzato su tematiche quali diritti umani, legge ed etica. L’obiettivo è quello di introdurre nell’ambiente detentivo personale qualificato capace di consigliare, di motivare e di guidare i detenuti verso il reinserimento in società (Gentleman, 2012).
Proprio per incentivare le relazioni con i responsabili, gli architetti del carcere di Halden hanno progettato spazi abitativi suddivisi in piccole comunità di 8 detenuti i quali condividono uno spazio comune con cucina. All’interno di tali aree, la supervisione avviene attraverso la presenza di 2 agenti i quali, avendo a disposizione solo un piccolo spazio privato, sono invitati a muoversi nello spazio comune e ad interagire con i detenuti (Haubursin, 2019). Quest’ultimi hanno a disposizione un alloggio singolo di 12 mq con bagno privato, arredato con mobili in legno di pino, televisore e finestre senza sbarre con vista sullo spazio naturale che circonda l’istituto. Questa ricca visione del paesaggio circostante e la possibilità di percepire il passaggio delle stagioni, aiuta i detenuti a non sentirsi separati dalla realtà; inoltre la folta vegetazione occlude la vista del muro di confine, contribuendo alla creazione di una percezione del carcere come luogo “anti-autoritario” (Gentleman, 2012). I materiali scelti dai progettisti sono profondamente diversi da quelli impiagati nelle carceri tradizionali, tipicamente conglomerato cementizio, linoleum e acciaio, che hanno tonalità poco vivaci e scadenti prestazioni dal punto di vista dell’assorbimento acustico. Essi hanno utilizzato materiali con colori caldi come legno e sughero per dare una sensazione di domesticità e al contempo garantire buone prestazioni acustiche, inoltre hanno fatto ampio uso del vetro sia trasparente, sia opaco, per favorire un ingente apporto di luce naturale (Ibid.).
I detenuti sono chiusi nei loro alloggi dalle 20.30 alle 7.30, ma sono incoraggiati a massimizzare il loro tempo fuori, pertanto, per lasciare le loro celle, ricevono un incentivo pari a 53 corone (circa €5,20) che possono usare per acquistare gli ingredienti per prepararsi i pasti che più gradiscono (oltre a quelli forniti dall’istituto). Il direttore della prigione, Are Høidal ha affermato che meno attività svolgono i prigionieri, più diventano aggressivi, pertanto dalle 8:00 alle 20:00, ci sono esercitazioni su piste da jogging e partite di calcio, vengono offerti corsi di lavorazione del legno, cucina e musica. Nello studio di mixaggio, i detenuti possono registrare musica e un programma mensile trasmesso dalla stazione radio locale, inoltre sono a loro completa disposizione una biblioteca, una cappella ed una palestra completa di parete da arrampicata (Ibid.).
L’apertura è una componente centrale nei sistemi carcerari scandinavi. Le carceri norvegesi, ad esempio, incoraggiano le visite dei familiari e consentono anche la richiesta di tornare a casa fino a sei giorni dopo sei mesi di reclusione. Ciò nasce dalla comprensione che la monotonia e la rigida supervisione delle carceri chiuse ha pessime conseguenze sui detenuti (Woodruff, 2017). Mentre, impegnarsi nel far sì che essi vivano una normale esistenza, seppur in carcere, li aiuta ad immaginare e desiderare una vita condotta nella legalità dopo la prigione. La punizione, come evidenziato dalla Direzione del Servizio Correttivo Norvegese, è la restrizione della libertà. Non è compito di coloro che lavorano nelle carceri aumentare questa restrizione, ma piuttosto aiutare nella riabilitazione dei detenuti. (Denny, 2016)
Accanto all’apertura delle strutture detentive e alla responsabilizzazione dei detenuti, importanti fattori nel processo di riabilitazione nelle carceri norvegesi, si affianca anche il concetto di “normalizzazione”, ovvero l’intento di mantenere condizioni e situazioni nelle carceri simili a quelle sperimentabili nella vita quotidiana, al di fuori dell’istituto. Anche i programmi educativi e professionali offerti si sono dimostrati efficaci nel migliorare le capacità e la mentalità dei detenuti, aprendogli maggiori possibilità lavorative una volta terminato il loro periodo detentivo. L’incoraggiamento è cruciale durante l’intero processo, ma soprattutto durante il reinserimento in società, in particolare per chi è rimasto nella casa circondariale per molti anni. Nel contesto norvegese, l’attivo supporto delle istituzioni e l’assenza di pregiudizi nei confronti dei pregiudicati, permettono a quest’ultimi di trovare un impiego in tempi ragionevoli, scongiurando il loro ritorno a delinquere (Ibid.).
Dal punto di vista dell’impegno monetario, la casa circondariale di Halden, con un costo annuale per detenuto pari a €130.000, appare notevolmente impegnativa da sostenere se comparata con i €50.000 del costo medio di un detenuto nel Regno Unito (Gentleman, 2012). Un’importante differenza però si ravvisa anche nelle già citate probabilità di recidiva, che nel caso della Norvegia sono pari a meno della metà di quelle britanniche; inoltre è bene sottolineare anche come, attraverso l’attenzione alla riabilitazione, all’educazione e alla scolarizzazione dei detenuti, la Norvegia reintroduca in società persone in grado di trovare un impiego, di autosostenersi e di dare il proprio contributo per lo sviluppo del paese, ripagando, di fatto, parte della somma spesa dallo stato.
Il modello di Halden ha dimostrato come sia possibile conciliare una struttura di detenzione di massima sicurezza con un intento riabilitativo dei detenuti, pertanto in altri paesi scandinavi stanno sorgendo istituti analoghi. La prigione di Storstrøm, in Danimarca, anch’essa progettata da C.F. Møller Architects e conclusa nel 2017, ne è l’esempio più rilevante.
Tale approccio ha conquistato anche l’interesse dell’Italia, che nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino ha sperimentato la realizzazione di un progetto, seppur di modesta entità, indirizzato verso la visione detentiva scandinava: lo spazio esterno della casa circondariale è stata riadattato seguendo un processo di co-progettazione e autocostruzione, mirato a garantire uno spazio di qualità a coloro che vivono il carcere, senza distinguere tra lavoratori ed ospiti, creando uno spazio vario e di libera interpretazione da parte degli utenti della struttura, con la possibilità di essere impiegato per svolgere i colloqui con i familiari all’aperto (Artieri, 2015).
Il contesto Scandinavo, tuttavia, presenta plurime differenze con quello di molti altri paesi: gli stati in questione sono pervasi da un forte senso di fiducia tra i cittadini e verso l’autorità statale. Ciò si traduce non solo in un sistema carcerario inclusivo, ma anche in una società capace di riaccogliere chi ha sbagliato e pagato per i propri errori.(Denny, 2016) Inoltre, alla base dell’intento riabilitativo di un carcere come quello di Halden vi è un assunto fondamentale: la consapevolezza che qualunque detenuto sconterà una pena con una durata massima di 21 anni. In Norvegia, infatti, sin dal 1981, le condanne a vita sono state abolite, riconoscendo che persino i criminali che hanno commesso gli atti più efferati debbano avere la possibilità di essere rieducati per poter tornare in società e portarvi il loro contributo (Ibid.). Ciò significa che nella cultura norvegese (ed in larga parte scandinava) si è ben instaurata una de-emotivizzazione dell’istituto carcerario. Nel nuovo paradigma la casa circondariale non costituisce più per i cittadini un mezzo attraverso il quale ottenere vendetta su un torto subito, non rappresenta più un luogo che affligge pene e priva di spazio, ma rappresenta esclusivamente uno strumento di rieducazione che, in quanto tale, deve privare della libertà, ma non della dignità.
Sitografia
Artieri (15 Settembre 2015). Spaziviolenti: un workshop di autocostruzione in carcere a Torino [sito web – ultimo accesso 24.03.2020]
Brioschi, F. (Maggio 2017). Le risorse destinate al reinserimento nella società del condannato, in Antigone [sito web – ultimo accesso 22.03.2020]
https://www.antigone.it/tredicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/01-costi-del-carcere/
Cobiella, K. (08 Aprile 2019). Go Inside One Of The Most Humane Prisons In The World, Today
Gabellini, F. (2010). La città dell’attesa. Un carcere trattamentale per la società contemporanea. Tesi Magistrale in Architettura e Composizione Architettonica, Relatore Agnoletto Matteo, Alma Master Studiorum, Università di Bologna – Sede Cesena.
https://amslaurea.unibo.it/2193/
Gentleman, A. (18 Maggio 2012). Inside Halden, the most humane prison in the world, in The Guardian [sito web – ultimo accesso 23.03.2020] .
https://www.theguardian.com/society/2012/may/18/halden-most-humane-prison-in-world
Hadavi, Z. (2016). Il fallimento del carcere: ragioni e prospettive. Tesi Magistrale in Giurisprudenza, Relatore Ippolito Dario, Università degli Studi Roma Tre.
https://www.tesionline.it/default/tesi.asp?idt=53930
Haubursin, C. (12 Aprile 2019). How Norway designed a more humane prison, Vox
HealtyPeople.gov (10 Agosto 2020). Incarceration. [sito web – ultimo accesso 22.03.2020]
https://www.healthypeople.gov/2020/topics-objectives/topic/social-determinants-health/interventions-resources/incarceration#26
Denny, M. (2016). Norway’s Prison System: Investigating Recidivism and Reintegration, Bridges: A Journal of Student Research, 10(10, 2), 21-37.
https://digitalcommons.coastal.edu/bridges/vol10/iss10/2
Ronco, D. (Maggio 2017). In alternativa. Numeri, tipologie e funzioni delle misure alternative, in Antigone [sito web – ultimo accesso 22.03.2020]
https://www.antigone.it/tredicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/01-misure-alternative/
Senato della Repubblica (22 Dicembre 1947). Costituzione della Repubblica Italiana.
http://www.senato.it/documenti/repository/relazioni/libreria/Costituzione_anastatica.pdf
Woodruff, L. (17 Marzo 2017). The evolution of prison design and the rise of the direct supervision model, in Lexipol [sito web – ultimo accesso 22.03.2020]