RIPENSARE I CENTRI COMMERCIALI
In tutto il pianeta un centro commerciale, rappresenta due aspetti fondamentali della nostra società: è un luogo di incontro della nostra vita civica come lo è qualsiasi spazio pubblico, una piazza, un parco, un municipio ed è la rappresentazione spaziale del nostro benessere economico.
Ma quando lo spazio fisico del centro commerciale degrada, la stessa cosa avviene per la qualità della nostra vita.
La velocità in cui tutti i centri commerciali invecchiano con un ciclo di 15-20 anni e ormai evidente. L’invecchiamento ha cause tra loro diverse ma ampiamente dibattute. Tra queste:
  1. Cambiano le abitudini al consumo: vogliamo sempre di più che ogni aspetto della nostra vita sia esperienziale e difficilmente un’esperienza ripetuta nello stesso modo per 15 anni può dare il medesimo appagamento;
  2. La multicanalità spesso sposta l’attenzione e il momento dell’acquisto dal luogo fisico a quello digitale. Lasciando meno margini agli operatori che hanno scelto solo la vendita nel negozio. Inter Sidhu nel suo libro The Digital Revolution ci dimostra come la scelta di un’auto non sia più fatta in concessionaria, ma sulla rete, dove è più facile trovare tutti i modelli insieme, leggerne o vederne prove, recensioni, schede tecniche, dove le auto si possono configurare e confrontare
  3. Cambia il tipo di accessibilità ai centri commerciali. Le infrastrutture da un momento con l’altro sfavoriscono una zona, ne favoriscono un’altra e un posto frequentato da migliaia di persone può essere velocemente dimenticato.
  4. La saturazione dell’offerta di format sempre nuovi è ormai evidente anche in Italia.
Così l’impoverimento e il degrado di un centro commerciale in via di dismissione deve cercare modelli di rinascita.
Negli USA il termine per affrontare la rigenerazione è quello del demalling.
C’è tanta letteratura su questo tema e consiglio a tutti un TED di Ellen Dunham-Jones, si chiama Retrofitting suburbia. Da vedere. Ellen ripercorre le cause del decadimento del modello di mall negli stati uniti per poi portare esempi di riconversione, di demalling appunto.
Un documento importante in Italia, da cui partire per studiare il tema del demallig è rappresentato dal libro di Gabriele Cavoto: Demalling – Una risposta alla dismissione commerciale. In questo libro Gabriele ripercorre la storia del breve ciclo di vita degli edifici commerciali americani e riporta esempi di riconversione per dare chiavi di lettura a quanto succede e accadrà in futuro in Europa e in Italia.
Provo a riassumere 4 considerazioni che possano integrare il dibattito su questi temi.
La prima considerazione è che il progetto di architettura volto alla rigenerazione di un centro commerciale, riguarda il rapporto del centro stesso non più con in consumatori, ma con i cittadini. La definizione di consumatori a questa scala dovrebbe venire meno. Tutti noi ci sentiamo fruitori di spazi, di esperienze sociali, abbiamo smesso da molto tempo di identificare l’esperienza di acquisto come quella legata al solo consumo.
La seconda considerazione riguarda la necessaria permeabilità dello spazio e l’appartenenza del centro al contesto urbano. Spesso i centri commerciali hanno tipologie edilizie più simili alle fortificazioni che non a luoghi aperti al pubblico. Del resto la morfologia degli stessi nasce in risposta alla massimizzazione delle pareti cieche e da necessità economiche di contenimento dei costi. Ma ridare permeabilità ai centri commerciali significa estroflettere lo spazio, trasmettere la vitalità di quello che avviene all’interno. La nuova piazza cittadina è sempre aperta.
La terza considerazione riguarda la varietà. Oggi ci si aspetta di trovare in un centro commerciale gli stessi marchi, sempre uguali. Difficile in questo modo avere esperienze molto differenti sia che mi trovi ad Assago che a Verona! Bisognerebbe favorire l’accesso agli spazi ad attività che non abbiano la solita brand awarness, ma magari aggiudicati a turno ad alcune delle migliori startup universitarie cittadine, ad associazioni o a bottegai storici che insegnano un mestiere, come riparare una bicicletta (questo è un esempio che faccio sempre! Come se fossi un gran ciclista..)
L’ultima considerazione riguarda la spazialità, la stessa di cui teorizza Camillo Sitte quando parlava di città. Pensate che Sitte intorno al 1890, esatto 1 8 9 0, teorizzava il tecnicismo e l’inadeguatezza della città speculativa e invece tesseva le lodi delle città europee, che grazie alla loro crescita di vie, piazze, edifici, propongono sistemi spaziali, solo apparentemente disordinati, ma anzi ricchi ed interessanti.
La stessa considerazione potrà riguardare la sedimentazione nel tempo degli interventi in questi ambiti commerciali, soprattutto se sapremo restituire lo spazio vuoto ai cittadini senza più farci imbrigliare dalle regole che danno importanza alla remunerazione delle superfici commerciali confinate in percorsi chiusi. Queste regole sono vecchie e anche se pensate solo dieci anni fa, tra poco non esisteranno più.
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